sabato 17 aprile 2021

DDL Zan, beneficenza e ipocrisia

 È recente la notizia di una ragazza di poco più di vent'anni cacciata di casa dalla famiglia a causa della sua omosessualità. L'intervento che andrete a leggere potrebbe portare dissenso, ma, come gli omosessuali non scelgono la propria natura, così io non scelgo di essere talvolta cinica e dire la mia, pane al pane e vino al vino.

Giudicare una persona per i propri gusti (sessuali, musicali, artistici, o di qualsiasi altro tipo) è sbagliato. Però succede. Ostracizzarla per lo stesso motivo è deplorevole. Però succede. Pretendere di cambiare gli altri è inutile. Però succede. Garantire la sicurezza dell'individuo è compito dello Stato e il DDL Zan (a seguito di una serie di episodi di violenza) può diventare un mezzo per farlo. Ora andiamo nello specifico.

Sono una ragazza, ho poco più di vent'anni. Intuisco, a livello teorico, che i miei genitori non siano illuminati sulla tematica LGBTQ+ perché, in vent'anni, magari qualche avvisaglia l'ho avuta. Un commento, una discussione su qualche personaggio pubblico, televisivo che sia. Decido, spontaneamente, di far partecipi questi due caproni del fatto che, liberamente, amo le donne. I due, di cui sopra, la prendono male, malissimo (come poteva essere prevedibile). Mi sbattono fuori di casa. Ho pensato MAGARI SE CAPITA ALLA LORO FIGLIA, IL LORO AMORE SARÀ PIÙ FORTE DEI LORO PREGIUDIZI. Invece no. Sono proprio di coccio. Mi insultano, mi dicono che non sarò più loro figlia e mi ritrovo senza un tetto sulla testa, senza possibilità di vivere dignitosamente in un altro posto. Senza pensare di poter chiedere asilo a un'amica, un vicino di casa, qualcuno insomma che capisse la situazione. Così, piuttosto che rivolgermi a canali come Caritas, Centri Antiviolenza o simili, qualcuno (una cugina?) decide di far partire una raccolta fondi. Premesso che la stessa cugina, magari, avrebbe potuto cercare un modo di ospitarmi o darmi delle garanzie diverse da un crowdfunding, decido di denunciare (e anche in sede di denuncia mi sarebbe stato detto di rivolgermi a servizi specifici) e raccontare tutto via social e alle Iene. 

Torno ad essere me per un momento e guardo la vicenda.

1. A cosa serve raccogliere dei soldi? Datele un lavoro, ospitatela a casa o datele un rifugio dal quale ricominciare.

2. Io che dono soldi per la causa, risolvo il problema? No. Magari mi sento in pace con la coscienza. Magari Malika potrà comprarsi da mangiare con quei soldi (che comunque potrebbe riuscire a mangiare anche senza i miei soldi). Una volta che avrà usato i miei soldi per mangiare, chessò, una settimana, avrò risolto il SUO problema? Perché Malika non è la prima omosessuale che viene maltrattata e sbattuta fuori di casa.

3. Tutti i soldi che sono stati raccolti per aiutare UNA persona, renderanno l'Italia un posto migliore? No.

4. Se io che le ho donato i soldi, domani perdo il lavoro e mi ritrovo in mezzo a una strada, dovrò fare un crowdfunding per cercare qualcuno che mi dia i suoi soldi e dare vita a un circolo vizioso in cui ognuno si basa sulla carità altrui per risolvere i propri problemi?

5. I genitori di Malika avranno cambiato opinione ora che lei ha raggiunto i 100.000 euro di raccolta fondi? Forse si, ma lo avrebbero fatto per i soldi. Forse no, e non avremmo comunque risolto il problema. 

6. Fossi Malika, userei questi soldi per una fondazione per le vittime di omofobia. Perché non ci debba essere più nessuna cugina che fa crowdfunding per tutelare la libertà degli individui.

Quindi arrivo al punto cruciale: fare coming out è una scelta. In quanto tale prevede rinunce e benefici. Io posso essere lesbica, vivere la mia vita nascondendomi dai miei genitori, ma preservando il diritto a vivere sotto lo stesso tetto, ad avere cibo caldo in tavola e una serie di garanzie che una famiglia (per quanto disfunzionale) possa dare. Posso altresì decidere di dire al mondo quali siano i miei gusti sessuali (che comunque al mondo dovrebbero fregare tanto poco quanto niente) e affrontare la gogna di chi, per mancanza di apertura mentale o semplicemente di intelligenza, empatia o istruzione, decide che non sia più degna del loro rispetto, affrontandone le conseguenze. 

Non si può cambiare un omosessuale. È nella natura dell'essere umano provare attrazione sessuale, indipendentemente dal destinatario di questa attrazione.

Non si può pretendere di cambiare un razzista o un omofobo. Si può punire il suo comportamento quando lede la libertà altrui. E, purtroppo, di questo DDL c'è bisogno, perché siamo in un paese dove la libertà di opinione è abusata al punto di diventare violenza. 

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