mercoledì 19 febbraio 2014

Invisibili - Cristiano De André

Ieri ho visto la prima serata di Sanremo. Quest'anno ci sono dei bei pezzi, con qualche eccezione (per la Ruggiero per esempio) e delle proposte un po' meno mainstream degli altri anni (come i Perturbazione o Frankie Hi-NRG), ma l'unico pezzo che secondo me valeva la pena ascoltare e premiare era proprio Invisibili. E' vero, chiunque senta De André fa subito riferimento a Fabrizio, il mito, la leggenda. Ma Cristiano è di più. Cristiano vive in un periodo dove non basta parlare di disagio o raccontare novelle per fare storia, specie perché è un periodo che porta l'ombra di Fabrizio, Pierangelo e tanti come loro, che i messaggi li hanno dati, li hanno scalfiti nelle menti e nei cuori di una generazione che adesso si trova persa in quegli stessi ricordi. I fan di oggi di De André padre possono solo immaginare cosa sia stato quel periodo, cosa quelle note abbiano potuto esprimere ed imprimere nei cinquantenni di oggi e nei ventenni di ieri. Noi, i ventenni di oggi, dobbiamo far fatica a pensare cosa volesse dire La guerra di Piero o Via del Campo per quei ventenni che la ascoltavano su 33 giri, per quelli che il disagio lo vivevano e lo combattevano in solitudine o nei circoli di rifondazione, e non su Facebook. Però Cristiano ci fa vivere un'emozione diversa: la consapevolezza di essere soli. Questo brano mi ha emozionata fin da subito, per l'interpretazione profonda che ne ha dato l'artista e per il messaggio che mi ha trasmesso. E' dura dover affrontare la vita come Figlio Di e non come semplicemente Te Stesso. Per questo lo chiamo Cristiano, perché questo pezzo è un plauso a lui, non a chi gli ha dato la vita. Godetevelo.


Tu abitavi in via dell’amore vicendevole
E io qualche volta passeggiavo da quelle parti lì
Il profumo dell’estate a volte era gradevole
E le tue medagliette al merito sul petto brillavano
Brillavano molto più dei miei lividi
Tu camminavi nell’inquietudine
E la mia incudine era un cognome inesorabile
Un deserto di incomunicabilità
Tu eri laureato in danni irreversibili
[che la droga provoca al cervello
Io un po’ di questo un po’ di quello
In fondo niente di veramente utile
Tu eri bravissimo a specchiarti nelle vetrine
Io altrettanto a svuotare le cantine
Per noi amici, pochi amici, pochissimi amici
Tu eri fortissimo a inventarti la realtà
Io liberissimo di crederla o non crederla
E ho sempre sperato che qualcuno un giorno
Potesse parlare male di noi
Ma eravamo invisibili, talmente invisibili che non ci vedevamo mai
Stu ténpu
Ch’u s’è pigiòu a beléssa e u nòstru cantu
Pe ripurtane inderée sénsa ciü un sensu
Ma òua che se vedemmu
Dumàn tüttu u cangiàa
Tu abitavi in via dell’amore vicendevole
E io avevo preso una stanza in affitto
da quelle parti lì
Io dimostravo fondamentalmente i miei anni
Tu ormai non sapevi più quali fossero i tuoi
Perché a Genova si moriva a vent’anni
Ma senza diventare mai, mai degli eroi
Coi tuoi separati a colpi di calibro trentotto
E i miei tenuti insieme dalla speranza per l’umanità
Noi sempre oltre ogni limite
Quel limite era una scommessa da non perdere mai
Tu eri bravissimo a ballare sulle rovine
Io altrettanto a rubare comprensione
Di noi amici, pochi amici, pochissimi amici
Tu eri fortissimo a inventarti la verità
Io liberissimo di crederla o non crederla
Io ho sempre sperato che qualcuno un giorno
Potesse accorgersi di noi
Ma eravamo invisibili, che non ci vedevamo mai
Stu ténpu
Ch’u s’è pigiòu a beléssa e u nòstru cantu
Pe ripurtane inderée sénsa ciü un sensu
Ma òua che se vedemmu
Dumàn tüttu u cangiàa
Stu ténpu
Ch’u s’è pigiòu a beléssa e u nòstru cantu
E u l’à ripurtòu inderée sensa ciü un sensu
Ma òua che ghe vedemmu
Dumàn tüttu u cangiàa