giovedì 8 maggio 2014

Relativ(er)ità

Lo Stato e la Mafia si accordano sulle partite di calcio da giocare? Le ragazze crocifisse sono vittime di un prete esaltato? La Marini e il suo ex marito non facevano sesso?

Qualsiasi siano le domande che rimbalzano dai tg e dai programmi di approfondimento, la verità non verrà mai a galla. La verità è a discrezione di chi la racconta e di chi la ascolta. La verità sui fatti di cronaca non verrà mai fuori, la verità su Valeria Marini sarà forse in pasto ai giornali scandalistici e magari non sarà neanche "vera" verità, la verità sulle parole che il capo ultrà e il capitano della squadra si sono scambiati prima del match sono solo uno specchio per le allodole. Mentre quelli si dicevano chissà cosa, fuori dallo stadio si consumava un'inaudita violenza, fisica e psicologica, contro chi, semplicemente, segue una fede calcistica piuttosto che un'altra. La follia più grande, tuttavia, sta nelle parole di chi non condanna chi di quei disordini era parte, ma chi (magari) per legittima difesa ha preferito evitare un pestaggio e ricorrere alla pistola. Con questo non voglio dire che chi ha sparato ha ragione e chi era disarmato torto, dico solo che la verità, come sempre, sta nel mezzo: chi è stato sparato non è solo un santo e chi ha sparato non è solo un carnefice.

mercoledì 7 maggio 2014

Creat(t)ivi A Lavoro

L'associazione ITAL di Bari in collaborazione con l'associazione Venti di Scambio di Conversano, promuove lo scambio culturale CREAT(T)IVI A LAVORO. Cerchiamo giovani tra i 18 ed i 25 anni pieni di creatività e spirito di iniziativa che vogliano prendere parte a questa magnifica esperienza.
Dai ragazzi, non fatevi pregare!!!

domenica 23 marzo 2014

CAPAREZZA - NON ME LO POSSO PERMETTERE - VIDEO UFFICIALE





La domanda è: quanti di noi davvero hanno detto almeno una volta NON ME LO POSSO PERMETTERE? Si parla di giovani disoccupati con tablet, smatphone e IWatch di ultima generazione. A questi giovani la terra farei zappare, altro che posti da dirigenti laureati.

mercoledì 19 febbraio 2014

Invisibili - Cristiano De André

Ieri ho visto la prima serata di Sanremo. Quest'anno ci sono dei bei pezzi, con qualche eccezione (per la Ruggiero per esempio) e delle proposte un po' meno mainstream degli altri anni (come i Perturbazione o Frankie Hi-NRG), ma l'unico pezzo che secondo me valeva la pena ascoltare e premiare era proprio Invisibili. E' vero, chiunque senta De André fa subito riferimento a Fabrizio, il mito, la leggenda. Ma Cristiano è di più. Cristiano vive in un periodo dove non basta parlare di disagio o raccontare novelle per fare storia, specie perché è un periodo che porta l'ombra di Fabrizio, Pierangelo e tanti come loro, che i messaggi li hanno dati, li hanno scalfiti nelle menti e nei cuori di una generazione che adesso si trova persa in quegli stessi ricordi. I fan di oggi di De André padre possono solo immaginare cosa sia stato quel periodo, cosa quelle note abbiano potuto esprimere ed imprimere nei cinquantenni di oggi e nei ventenni di ieri. Noi, i ventenni di oggi, dobbiamo far fatica a pensare cosa volesse dire La guerra di Piero o Via del Campo per quei ventenni che la ascoltavano su 33 giri, per quelli che il disagio lo vivevano e lo combattevano in solitudine o nei circoli di rifondazione, e non su Facebook. Però Cristiano ci fa vivere un'emozione diversa: la consapevolezza di essere soli. Questo brano mi ha emozionata fin da subito, per l'interpretazione profonda che ne ha dato l'artista e per il messaggio che mi ha trasmesso. E' dura dover affrontare la vita come Figlio Di e non come semplicemente Te Stesso. Per questo lo chiamo Cristiano, perché questo pezzo è un plauso a lui, non a chi gli ha dato la vita. Godetevelo.


Tu abitavi in via dell’amore vicendevole
E io qualche volta passeggiavo da quelle parti lì
Il profumo dell’estate a volte era gradevole
E le tue medagliette al merito sul petto brillavano
Brillavano molto più dei miei lividi
Tu camminavi nell’inquietudine
E la mia incudine era un cognome inesorabile
Un deserto di incomunicabilità
Tu eri laureato in danni irreversibili
[che la droga provoca al cervello
Io un po’ di questo un po’ di quello
In fondo niente di veramente utile
Tu eri bravissimo a specchiarti nelle vetrine
Io altrettanto a svuotare le cantine
Per noi amici, pochi amici, pochissimi amici
Tu eri fortissimo a inventarti la realtà
Io liberissimo di crederla o non crederla
E ho sempre sperato che qualcuno un giorno
Potesse parlare male di noi
Ma eravamo invisibili, talmente invisibili che non ci vedevamo mai
Stu ténpu
Ch’u s’è pigiòu a beléssa e u nòstru cantu
Pe ripurtane inderée sénsa ciü un sensu
Ma òua che se vedemmu
Dumàn tüttu u cangiàa
Tu abitavi in via dell’amore vicendevole
E io avevo preso una stanza in affitto
da quelle parti lì
Io dimostravo fondamentalmente i miei anni
Tu ormai non sapevi più quali fossero i tuoi
Perché a Genova si moriva a vent’anni
Ma senza diventare mai, mai degli eroi
Coi tuoi separati a colpi di calibro trentotto
E i miei tenuti insieme dalla speranza per l’umanità
Noi sempre oltre ogni limite
Quel limite era una scommessa da non perdere mai
Tu eri bravissimo a ballare sulle rovine
Io altrettanto a rubare comprensione
Di noi amici, pochi amici, pochissimi amici
Tu eri fortissimo a inventarti la verità
Io liberissimo di crederla o non crederla
Io ho sempre sperato che qualcuno un giorno
Potesse accorgersi di noi
Ma eravamo invisibili, che non ci vedevamo mai
Stu ténpu
Ch’u s’è pigiòu a beléssa e u nòstru cantu
Pe ripurtane inderée sénsa ciü un sensu
Ma òua che se vedemmu
Dumàn tüttu u cangiàa
Stu ténpu
Ch’u s’è pigiòu a beléssa e u nòstru cantu
E u l’à ripurtòu inderée sensa ciü un sensu
Ma òua che ghe vedemmu
Dumàn tüttu u cangiàa

lunedì 13 gennaio 2014

Desirée - Samuele Bersani

Desirée torna in sé dopo un sogno
Svegliandosi tra gli scoiattoli di una città
Su una panchina aspetta l'autobus
E si strofina le mani dal freddo che fa
È una mattina in cui le nuvole battono i taxi in velocità
E le altalene si credon libere di dondolare per propria volontà

Desirée conta sei semafori, otto fermate per scendere
Intanto si fa un viaggio muto con chi ha di fronte e quasi si dimentica della realtà
Per tre fermate ha avuto un complice, un cavaliere pronto a difenderla dai draghi alati

Desirée torna in sé dopo questo ennesimo saggio di danza con la fantasia,
S'incammina in mezzo agli alberi sotto a una pioggia di pezzi di fotografia
In un parcheggio sotterraneo tiene un sasso in mano e accelera un po'
È uno spavento solo momentaneo che si dissolve in un gas di scarico

Desirée sulle scale mobili mentre una radio lontana trasmette "Fast Car"
È circondata da soli uomini tutti replicanti di un'unità
Ma se il deserto prevede un'oasi ecco che da lontano ne vede già i confini...


giovedì 9 gennaio 2014

...and happy new year

Mentre i giornali si fiondano sulle mirabolanti imprese di Schumacher sugli sci, caduto per aiutare una bambina scivolata a terra, una puerpera nel parto e una anziana donna ad attraversare la strada, noi ci fiondiamo a piè pari sull'ultimo film di Luca Miniero (il regista di Benvenuti al Sud per intenderci): Un Boss In Salotto.
La trama è abbastanza scontata, in alcuni tratti lenta e macchinosa, la Finocchiaro è insopportabile come non mai, Luca Argentero il poveruomo della situazione e la Cortellesi ha un accento bergamasco che ti fa voglia di incendiare il verde della bandiera tricolore. E poi c'è Rocco Papaleo. Il boss che dovrebbe essere napoletano ma che con infaticabile tenacia non riesce a staccarsi dalla sua adorata Basilicata. Non fraintendetemi, a me piace Papaleo, ma non parla così un boss della camorra (o presunto tale). Domande ce ne sono molte, come ad esempio il motivo per cui due fratelli, cresciuti in orfanotrofio, abbiano cognomi diversi, o la scelta dello sceneggiatore di iniziare ogni giornata con il training autogeno mirato alla vittoria e al successo nella vita (che poi il figlio grande abbusca regolarmente e la figlioletta cicciottella è un'inetta è un altro paio di maniche). Mi potreste dire: "Se volevi vedere un film preciso, ti andavi a vedere qualche bel mattoncino di Pupi Avati" e avreste pure ragione. Nutrivo troppe aspettative in una classica commedia italiana senza tette, culi e parolacce.

Chiedo venia.